Nel solco della Tradizione e del Concilio
"Santità la accogliamo oggi come i niniviti accolsero Giona, il predicatore della verità"
Il 7 marzo 2021 nella Piana di Ninive in Iraq, la terra di Abramo e del profeta Giona, papa Francesco entrava nella cattedrale di Al-Tahira attorniato dalla folla che agitava palme cantando in aramaico, lingua madre del cristianesimo siriaco, quella parlata da Gesù. «Santità la accogliamo oggi come i niniviti accolsero “Giona, il predicatore della verità”, secondo la nostra tradizione siriaca», gli disse il patriarca siro-cattolico presentando la comunità cristiana di Qaraqosh, dove il cristianesimo risale al tempo degli Apostoli.
In quella tappa, sull’orlo di un tempo tragico, che sembrava scaturire da una visione spirituale sanante, in un viaggio emblematico e profetico nella cerniera del Medio Oriente, culla dell’umanità e delle fedi, devastato dalle guerre, Francesco si era così portato anche nei luoghi emblematici dell’apertura alla missione. E portandosi alle origini dell’opera di Dio, alla nascita delle nostre religioni, da questo luogo sorgivo di fede e fratellanza, dalla terra del nostro padre Abramo, dove si è accanita l’opera diabolica dell’odio e della divisione, ancora una volta aveva fatto comprendere con rara lucidità non solo «come superare i mali e le ombre di un mondo chiuso», aveva fatto anche progredire la Chiesa lungo la dorsale di quelle che sono le strade maestre indicate dal Concilio Vaticano II.
Quelle della risalita alle fonti del Vangelo, del dialogo ecumenico e interreligioso, della ricerca della pace e una rinnovata missionarietà, della collegialità e povertà nella Chiesa che insieme sono il timbro della vera Tradizione e di questi dieci anni di pontificato, a partire dall’Evangelii gaudium. Timbro che Francesco aveva espresso in modo "programmatico" già la sera stessa dell’elezione, nel primo saluto, nella prima preghiera e nella prima benedizione dal balcone di San Pietro. Nelle quali espresse da subito la volontà di farsi prossimo, da fratello per tutti, quale espressione dell’«intima unione della Chiesa con l’intera famiglia umana», come viene così descritta nel Proemio della costituzione pastorale Gaudium et spes, che è all’origine dell’invito alla prossimità e di richiamo alla «conversione pastorale» che Francesco rivolgerà poi a tutta la compagine ecclesiale.
A partire dall’esortazione Evangelii gaudium, fino all’enciclica Fratelli tutti, dove senza frontiere ha evidenziato come Cristo interpella affinché tutti diventiamo prossimi degli altri. E con lo stesso invito che la sera dell’elezione, il 13 marzo, rivolse ai fedeli di compiere «un cammino insieme vescovi e popolo» aveva rimandato direttamente al secondo capitolo della costituzione dogmatica Lumen gentium sulla natura della Chiesa dove si afferma, testuali parole, che «vescovo e popolo fanno un cammino insieme». E da qui anche la sinodalità, che significa appunto “camminare insieme”, modalità e stile che appartengono alla natura apostolica propria della Chiesa e che in questi dieci anni è stata rimessa in moto nei sinodi promossi dal Papa a partire da quello sulla famiglia.
Come Vescovo della Chiesa di Roma, «che presiede nella carità tutte le Chiese» riprendeva inoltre la sorgente del suo ministero universale in quanto Successore di Pietro: la ricerca dell’unità dei cristiani che questi anni lo ha portato a intensificare il cammino cominciato dal Concilio con il decreto Unitatis redintegratio. Per concludere infine «perché ci sia una grande fratellanza».
Con questa preghiera il Papa aveva perciò già prefigurato la ricerca dell’unità del genere umano e della pace, che sono confacenti al ministero petrino e che lo hanno portato attraverso il dialogo a gettare ponti dall’Occidente all’Oriente. Anche con le altre religioni fino alla firma del Documento sulla fratellanza umana siglato il 4 febbraio 2019 ad Abu Dhabi con il leader sunnita al-Tayyeb e a intraprendere i viaggi apostolici dalla Terra Santa all’Egitto, al Marocco, all’Iraq, al Kazakistan, al Bahrein, in Sud Sudan. Fino all’ enciclica Fratelli tutti, sulla fraternità e l’amicizia sociale, che come la Laudato si’ è posta sotto il patronato di Francesco d’Assisi e indica una fratellanza che si estende non solo agli esseri umani ma all’intero creato. Riferimento che è adesione a colui che è stato fraternamente partecipe della vita di ogni creatura e desideroso di abbracciare in Cristo ogni uomo; che nel fondo del suo medioevo aveva superato ogni frontiera nella sua iniziativa di andare a incontrare il sultano Malik-al- Kamil in Egitto per quella sua volontà di apertura universale che nasceva dal desiderio di una completa immedesimazione a Cristo e per questo il suo carisma giocò un ruolo singolarissimo nella stagione ecclesiale in cui visse, segnata da un profondo cambiamento d’epoca.
In quelle che sembravano parole estemporanee pronunciate da Francesco la sera dell’elezione, poi articolate nel primo discorso al Corpo diplomatico del 22 marzo 2013, c’era già dunque tutto, sgorgando dalla fonte della fede e dall’aver fatto proprio il Concilio Vaticano II nella sua interezza come resourcement, «risalita alle sorgenti». E già quelle prime parole hanno fatto comprendere come, proprio su quella «linea che il Concilio ha insegnato», quanto ci sia ancora tanto bisogno di insistere affinché si comprenda cos’è la Chiesa e la sua missione nel solco della Tradizione. E ci hanno fatto anche comprendere come non sia il Papa a fare la Chiesa, e quanto sia assolutamente improprio guardare a lui come a un personaggio separato dal corpo della Chiesa, che è di Cristo. Solo Cristo con l’azione dello Spirito può muoverla e farla andare avanti, come l’attuale Successore di Pietro ha ribadito nell’intervista che mi rilasciò per Avvenire: «Non sono io. Questo è il cammino dal Concilio che va avanti, che s’intensifica. Questo cammino è il cammino della Chiesa. Io seguo la Chiesa». È questo ciò che resta di dieci anni di pontificato.
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